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Un uomo aveva due figli

La parabola del figlio prodigo (Vangelo di Luca 15,11-32) é quella che «più mi sconvolge». Avrei voluto anch’io essere presente quando Gesù la raccontava. Avrei voluto sentire il suo respiro. Molte volte mi sono chiesto: «Chi guardava, a chi pensava?». Immagino commossa la sua voce nel far conoscere la tristezza di Dio attraverso lo strazio di un padre che vede il proprio figlio allontanarsi, tuffarsi fuori di casa, sperimentare l’ebbrezza di stringere fra le mani quanto – a pieno titolo – gli spetta, vederlo inseguire illusori abbracci e impossibili danze.

Mentre Gesù di Nazareth racconta della porta di casa che fra­gorosamente si chiude alle spalle, tutti ci sentiamo fuori. Lontano. É fuori anche chi protesta di non essersi mai allontanato. La ragione per cui il fratello minore si é allontanato infatti non é solo la fame di liberta dal padre. Forse gli era divenuta insopportabile anche la presenza del fratello maggiore «troppo buono», «troppo bravo». Sembra ancora sentire l’ultima discussione nella quale il figlio più grande affermava di essere proprietario dell’amore del padre. Come tanti che ipocritamente presumono di essere proprietari di Dio. Essi sono puntualmente estranei al dramma dell’altro. Si scandalizzano e sono irritati dall’imprevedibile e incomprensibile atteggiamento del Padre. Nel momento in cui il giovane avrebbe voluto saziarsi perfino delle ghiande che mangiavano i maiali, nessuno gliene dava.

«Mi leverò e andrò da mio padre». Irrompe così la grande avventura. Storia mai finita.

É straordinario fissare lo sguardo su quest’uomo che, rientrato in sé stesso, «si rimette in piedi, si alza, s’innalza solo e gran­de nella palude. Ritorna ad essere verticale, bene stagliato sulla vasta e desolante palude» (Davide Turoldo). Nel giovane emerge final­mente la relazione filiale. Decisivo é stato osare. Gli dirò: «Padre!»

Questo é lo scandalo.

Come ha osato fare ritorno! Come ha pronunciato quel nome!

II giovane intuisce che nel cuore del Padre vi é una grande preoccupazione: non quella del male fatto, ma il folle desiderio di restituire subito il figlio alla dignità regale. In un indescrivibile abbraccio benedicente il figlio é introdotto  alla festa con la danza e la musica.

Non é forse questa la festa che riempie i cieli? Iddio é davvero un Padre che sorprende. Sempre.  Al di la del nostro immaginare.

Oggi il credente sente in modo pungente 1’interrogativo di Israele nel deserto:

«Ma Dio é in mezzo  noi sì o no?» (Esodo7,7).

La parabola inventata da Gesù ci offre il cuore del suo messaggio evangelico.

Egli sussurra all’orecchio dell’uomo contemporaneo che solo quando si scoprirà amato, sarà in grado di comprendere la propria colpa.

«Gli si gettò al collo e lo baciò».

Lasciarsi prendere.

Lasciarsi afferrare.

Lasciarsi accompagnare.

Solo così la vita diviene festa.

Sul volto del  figlio perdonato Gesù ha dipinto il volto di Dio.

Il pianto sorridente del figlio giovane é il riflesso sulla terra del mistero di Dio.

Credere in Dio infatti non é debolezza o infantile bisogno di protezione.

E’ riconoscere che nel perdono si é svelato il mistero dell’Altro.

«Dio nessuno lo ha mai visto. Solo il Figlio lo ha rivelato» (Vangelo di Giovanni 1,18).

 

Franco Incampo cmf

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