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Pranzo di Carmelo

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Pranzo di Carmelo

Riorganizzando gli spazi della comunità e della chiesa immaginate di mettere provvisoriamente un ufficio con la porta sulla strada. La magia dell’inizio è proprio lì: una diversa presentazione di sestessi. Visibili, raggiungibili. La possibilità di far entrare chiunque. Farlo parlare tranquillamente. Ascoltare.
Immaginate che quella porta aperta sulla piazza della vita cominci a funzionare. Gli incontri diventano imprevedibili. Una forza straordinaria fa incrociare due cammini. Il cammino di chi cerca qualcosa di autentico o comunque qualcosa. Il cammino di chi si chiede, in modo quasi ingenuo, ma martellante: “è possibile vivere il Vangelo?” Non basta predicarlo e neppure riconoscerlo come la radice del mio presente.
Chiunque si chieda se è possibile vivere il Vangelo dovrà imparare a rispondere alle domande di chi, quasi con sfida e disincanto, gli sussurra: “Sai che se apri la porta non riuscirai più a chiuderla?” Oppure: ”Sai che se oggi cominci a dare loro qualcosa, non riuscirai più toglierteli di torno?” E tante altre simili domande.
Un amico commercialista un giorno mi dice: “festeggio 25 anni di attività. Voglio fare un pranzo per quelli che la mattina vedo alla porta”. Alle mie perplessità e alle mie paure, ha risposto: “Ci penso io. Chiederò – ha continuato – ai miei colleghi ed amici, di preparare loro qualcosa, di portarlo e servirlo. Deve essere una festa”. Così è cominciata la nostra avventura dei pranzi: con la generosità di tanti. Di coloro che avevano il desiderio semplicemente di condividere la tavola con chi è nel bisogno. Anziché invitarli a casa, ci siamo messi d’accordo di invitarli insieme nella Cripta della chiesa di S. Lucia del Gonfalone in via Dei Banchi Vecchi.
Il pranzo lo chiamiamo il pranzo di Carmelo perché uno dei nostri amici, tra i più entusiasti e determinati, il Signore lo ha chiamato a sé. Ci ha consegnato però il suo entusiasmo e la sua determinazione. Oggi siamo tre gruppi: il primo formato prevalentemente da persone del quartiere, il secondo composto da ex scout del Gruppo Roma XIII e il terzo formato dai loro figli e da altri giovani. Per tre domeniche del mese invitiamo 90/100 persone a tavola. Abbiamo constatato che è senz’altro positivo dare la possibilità di un pranzo, ma ciò che è più urgente è l’aspetto conviviale. La condivisione.
Insomma: c’è bisogno di relazioni autentiche non meno che di lasagne.

Non ci nascondiamo infatti che è più facile finanziare, preparare, servire che essere commensali. Solo il commensale infatti piano piano vede crescere la fiducia, l’amicizia, la speranza. E’ proprio vero, come accadde ai discepoli di Emmaus, che nello spezzare il pane ci si “ri-conosce”. Tante piccole storie di aiuto e di servizio nascono in un clima conviviale e di condivisione.
L’animazione musicale, durante o alla fine del pranzo, ha anche il suo peso. Con i talenti e le capacità di tanti si riesce a vivere in un giorno diverso. Stando a tavola insieme, non certo una sola volta, cadono pregiudizi, luoghi comuni. Si supera il facile incasellare tutti in un unico schema.
Per tanti di noi questo desiderio, anzi questa necessità di servizio, è nata come frutto della celebrazione domenicale e della lettura della Bibbia. L’ascolto della Parola e il Pane eucaristico hanno in sé una divina forza che conduce al servizio. Plasmati dalla Parola e dal Pane servendo Dio nei poveri, diveniamo nuovo popolo.
Altri di noi non hanno motivazioni religiose e siamo felici di camminare insieme. Nessuno di noi si nasconde che ciò che facciamo è poco, molto poco. Tre domeniche al mese! Circa trecento pasti al mese. Diciamoci la verità: è davvero niente!
Ogni domenica però, ci raccontiamo una parabola. La parabola della condivisione e della convivialità. Ci siamo resi conto di quanto sia importante vigilare anche su noi stessi. Non basta fare delle cose buone. Bisogna anche che ciascuno di noi si chieda “chi sto diventando?” Quanto è facile fare delle cose buone ed avere il cuore arido, indurito. Quanto è facile che rispunti la gramigna del pregiudizio con l’aggravante dell’esperienza diretta: “So io chi sono questi che siedono a tavola”. Bisogna essere sentinelle l’uno dell’altro. Solo se ti lasci consumare dal fuoco del divino amore evangelico; solo se ti lasci innestare nell’Albero della vita: potrai dare frutti buoni.

“L’albero buono dà frutti buoni” (Vangelo di Matteo). Non ci accada di rimare fuori dalla porta della Vita mentre bussiamo e protestiamo dicendo di aver fatto il miracolo della condivisione; di aver dato da mangiare a tante persone! La porta potrebbe rimanere irrimediabilmente chiusa.
Vigilare quindi vuol dire: coltivare davvero nel cuore il desiderio di vedere, in ciascuno degli ultimi, il Suo volto. “Il tuo volto, Signore io cerco” (Salmi).
Non è questa la Chiesa che Gesù ha sognato? Libera, forte, determinata.
Sempre alla ricerca dei poveri. “Sono stato consacrato per annunciare ai poveri il lieto messaggio” dice Gesù nella Sinagoga di Nazaret all’inizio della sua predicazione (Vangelo di Luca).

Una Chiesa che si espone, senza alcun pudore. Creativa nell’inventare risposte nuove. Una Chiesa che non teme esperienze ardite pur di cercare l’Amato in tutti ed in particolare negli ultimi. Il Cantico dei Cantici ricorda alla Chiesa, proprio perché è l’Amata, di non temere di importunare i passanti, i distratti, gli indifferenti, le guardie, le autorità e perfino i nemici. Con la libertà che sperimenta solo chi ama, la sogniamo che supplica: “Avete visto il mio amore?… perché io sono malata d’ amore …” (Cantico dei Cantici).

DETTAGLI EVENTO
06. 12. 2020.
12:00 - 15:00